Testamento sottoscritto a metà: è valido?
Cass. Civ., Ord. 06/04/2023, n. 9472
Se la sottoscrizione si trova in mezzo alle disposizioni, può ritenersi valida quella parte del testamento che la precede, purché possa ritenersi, secondo le circostanze, che essa chiudeva il testamento, altrimenti tutto il testamento sarà nullo. È compito del giudice di merito accertare se il testamento sia da considerare esistente e valido nelle parti sottoscritte, o, invece nullo o inesistente. Utili elementi di giudizio possono essere desunti, oltre che dalla considerazione dei dati estrinseci della scheda, anche e soprattutto dal contenuto intrinseco delle disposizioni, di cui dovrà valutarsi la congruità, completezza ed organicità.
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 602 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha dichiarato l’invalidità dell’intero testamento; si sostiene che la disposizione in favore dell’attuale ricorrente, seguita dalla sottoscrizione, aveva tutti i requisiti di validità dell’olografo. Con il secondo motivo la ricorrente, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censura la decisione nella parte in cui è stata riconosciuta l’incapacità naturale del testatore: si sostiene che la Corte è stata ispirata da una nozione non esatta della incapacità suscettibile di invalidare il testamento ai sensi dell’art. 591 c.c., che è integrata da una situazione di incapacità assoluta, non ravvisabile nel caso in esame in considerazione della stessa descrizione che si legge nella sentenza: “il non completo dominio delle facoltà mentali” e una “non adeguata capacità di autodeterminarsi”.
Il primo motivo è inammissibile. La sottoscrizione, accanto all’autografia e alla data, è l’ulteriore requisito formale del testamento olografo, necessario ai fini della sua validità. Essa consiste nella apposizione della firma, da parte del testatore, in calce alle disposizioni testamentarie. Si è più volte messo in luce che la sottoscrizione ha una funzione perfezionativa, in quanto il sottoscrivere un atto è un indice della definitività della dichiarazione (Cass. n. 18616/2017). Nella generalità dei casi la sottoscrizione viene apposta alla fine delle disposizioni mortis causa, come dispone l’art. 602 c.c. (Cass. n. 25275/2007; n. 16186/2003). Secondo l’opinione prevalente, se la sottoscrizione si trovasse in mezzo alle disposizioni, potrà ritenersi valida quella parte del testamento che la precede, purchè possa ritenersi, secondo le circostanze, che essa chiudeva il testamento, altrimenti tutto il testamento sarà nullo. In tal senso si è espressa anche la Suprema corte, secondo la quale è compito del giudice di merito accertare se il testamento sia da considerare esistente e valido nelle parti sottoscritte, o, invece nullo o inesistente. Utili elementi di giudizio possono essere desunti, oltre che dalla considerazione dei dati estrinseci della scheda, anche e soprattutto dal contenuto intrinseco delle disposizioni, di cui dovrà valutarsi la congruità, completezza ed organicità (Cass. n. 1236/1966).
La Corte d’appello ha avuto ben presente tali principi, richiamati all’inizio della propria analisi e in applicazioni di essi ha ritenuto, sulla base dell’esame della scheda, che non vi fosse certezza circa l’autonomia delle prime disposizioni rispetto alle altre.
A tale valutazione la ricorrente obietta che le disposizioni erano invece autonome; ella insiste sul fatto che le varie disposizioni non potessero ritenersi coeve, come risultava in particolare dal peggioramento della qualità della scrittura. Si insiste poi sulla irrilevanza della inesatta descrizione dei beni oggetto dei lasciti. In questi termini, però, è inevitabile concludere che la ricorrente non denuncia una violazione di legge, ma il giudizio sul difetto di autonomia delle varie disposizioni, che costituisce oggetto di apprezzamento rimesso al giudice di merito, esente dal sindacato di legittimità, qualora, come nel caso in esame, sia esente da errori di diritto o di logica (Cass. n. 1236/1966 cit.).