Subappalto e denuncia dei vizi
Cass. Civ. Ord. 08-10-2018, n. 24717
L’appaltatore è tenuto a denunciare tempestivamente al subappaltatore i vizi o le difformità dell’opera a lui contestati dal committente e, prima della formale denuncia di quest’ultimo, non ha interesse ad agire in regresso nei confronti del subappaltatore, atteso che il committente potrebbe accettare l’opera nonostante i vizi palesi, non denunciare mai i vizi occulti oppure denunciarli tardivamente. La denuncia effettuata dal committente direttamente al subappaltatore non è idonea a raggiungere il medesimo scopo della comunicazione effettuata dall’appaltatore ai sensi dell’art. 1670 cod. civ., dovendo tale comunicazione provenire dall’appaltatore o da suo incaricato.
3. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, indicati: a) nella circostanza che con lettera raccomandata a.r. del 26/10/1999 il supercondominio avrebbe direttamente contestato alla ditta F. i difetti; b) nella circostanza che già in precedenza l’amministratore avrebbe inutilmente richiesto un sopralluogo della ditta per verificare l’impianto; c) nella circostanza che la V., a mezzo del difensore, avrebbe inoltrato alla subappaltatrice con nota del 12/4/1999 la lettera di contestazione del supercondominio del 6/4/1999; tali fatti sono assunti come decisivi al fine di escludere la decadenza.
3.1. Anche tale motivo è inammissibile. Va al riguardo richiamato che il vizio motivazionale rilevante, secondo l’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis nella riformulazione della norma disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, è quello di “omesso esame circa un fatto decisivo”, che presuppone la totale pretermissione nell’ambito della motivazione di uno specifico fatto storico, principale o secondario; sono vizi rilevanti che sopravvivono alla riforma, alla luce del “minimo costituzionale” in tema di motivazione, anche la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza della semplice “insufficienza” o di “contraddittorietà” della motivazione e fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la giurisprudenza ha specificato che la possibilità di sollevare tali doglianze neppure sopravvive come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c..
3.2. In tale contesto, il vizio di cui innanzi non sussiste quando, in luogo delle carenze previste, la. sentenza impugnata faccia emergere mere difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati dal giudicante di merito, risolvendosi altrimenti i motivi di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
3.3. Su tali premesse, va notato che con il motivo in esame, lungi dal far valere vizi della motivazione nei sensi anzidetti, la ricorrente si limita a dedurre che i documenti sopra indicati non sarebbero stati valutati ai fini di far emergere il non essersi verificata la dedotta decadenza, invocando così un riesame sul fatto, come detto inesigibile. A maggior ragione sussiste l’inammissibilità., in funzione della circostanza che la sentenza, complessivamente letta, fa comprendere l’avvenuto esame del fatto storico: è infatti menzionata la circostanza che il signor F. fosse consapevole delle contestazioni circa l’essere l’impianto non a norma, anzi assumendo essere legittimamente in tale condizione per essere la disciplina legale sopravvenuta all’esecuzione (v. il lungo passaggio alle pp. 7 e 8, ove si discorre della lettera raccomandata del 6/4/1999, del disconoscimento da parte della subappaltatrice circa il dover essere l’impianto regolarizzato, e comunque del fatto che “la lettera è estremamente generica, tanto che non vi è indicato minimamente quali sarebbero state le carenze” e “che anche una carenza marginale può escludere che un impianto sia a norma, senza però avere la gravità occorrente affinchè risulti applicabile l’art. 1669 c.c.” – cfr. p. 9). Ciò consente quindi di escludere l’omesso esame di elementi istruttori, il quale comunque, come detto, non integrerebbe, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora – come nel caso di specie – il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. sez. U n. 8053 del 07/04/2014 e tra le altre recentemente Cass. sez. U n. 31108 del 28/12/2017).
3.4. Va ulteriormente notato che l’inammissibilità discende anche dal fatto che la ricorrente non argomenta idoneamente in ordine al requisito della decisività dei fatti asseritamente tralasciati (elencati alla p. 16 del ricorso, e sopra riepilogati). In particolare, la decisività va del tutto esclusa quanto al fatto dell’invio della lettera di contestazione direttamente da parte del supercondominio alla ditta F.N.; non decisività da cui discende – stanti le connessioni sopra riepilogate tra un fatto e l’altro – la non decisività di tutti gli omessi esami. E’ quello dell’invio di “lettera di contestazione” direttamente dal committente principale al subappaltatore (nei sensi sopra chiariti) tema su cui giova soffermarsi al fine di affermare, come in prosieguo, principio di diritto già implicitamente sotteso alla decisione della corte fiorentina; tanto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, pur al di fuori dell’esame di motivo per violazione di legge, trattandosi di questione di particolare. importanza.
3.4.1. Deve richiamarsi, al riguardo, come – a fronte della pur poco perspicua eccezione di F.N. di non aver mai ricevuto formale denuncia di alcun vizio, tale non potendosi considerare la lettera raccomandata del 6/4/1999 direttamente inviata dal supercondominio (pp. 9 e 10 dell’impugnata sentenza) – la corte locale abbia sottolineato che il F. aveva correttamente evidenziato l'”omissione della comunicazione nei suoi confronti” (p. 10) essendo la nota del 6/4/1999 (sottoscritta dall’avv. Viviani difensore del supercondominio e trascritta alle pp. 12 ss. del ricorso), pur poi trasmessa dalla s.r.l. alla ditta F., originariamente diretta a tale ditta dal supercondominio in aggiunta al destinatario effettivo costituito dalla s.r.l., nei cui soli confronti il supercondominio ha intrattenuto rapporto contrattuale e ha dunque rivolto richieste a termini di legge (cfr. testo trascritto in ricorso).
3.4.2. In tale situazione il tentativo della s.r.l. di retrodatare a epoca immediatamente successiva e prossima al 6/4/1999 la “conosce(nza)” dei difetti, in quanto “messa al corrente” (p. 12 del ricorso) e “informata” (p. 14), in capo a F.N., al fine di far emergere una presunta tempestività della denuncia dei vizi (tempestività che non sussisterebbe, invece, in riferimento alla datazione della successiva trasmissione in allegato della nota del 6/4/1999 tra s.r.l., quale subcommittente, e la ditta F., quale subesecutrice dei lavori appaltati) si infrange, oltre che sul dato dell’eventuale genericità evidenziata del testo del 6/4/1999, sul rilievo fondamentale in diritto (che influisce sulla decisività del fatto storico di cui sarebbe omesso l’esame) per cui, ai fini dell’impedimento della decadenza dall’azione di regresso mediante la “comunicazione” al subappaltatore ò della denuncia dei vizi pervenuta all’appaltatore dal suo committente ex art. 1670 c.c., non è sufficiente la mera informazione del subappaltatore medesimo circa l’esistenza di una denuncia che l’appaltatore abbia ricevuto dal proprio committente, ma è necessario che la comunicazione sia pervenuta al subappaltatore dall’appaltatore-subcommittente (o da suo rappresentante), e non già aliunde (come, ad esempio, direttamente. dal committente-appaltante principale).
3.4.3. Il tema merita approfondimento, posto che, per quanto consta, almeno un precedente di altra sezione ha recentemente affermato il contrario (Cass. n. 26686 del 18/12/2014, in relazione a qualche pregressa decisione di merito in subiecta materia e a opinioni dottrinali dello stesso segno riferite prevalentemente ad altre tipologie di denunce); anche in quel caso nell’ambito dell’esame di un motivo per vizio di, motivazione, il predetto precedente di legittimità, nel medesimo senso invocato con l’odierno ricorso (il quale ha temporalmente preceduto detta sentenza), ha ritenuto che, “se lo scopo della denuncia prevista dall’art. 1670 c.c., è di informare il subappaltatore dell’esistenza della denuncia che l’appaltatore ha ricevuto dal committente, nonchè di consentirgli di eliminare i vizi tempestivamente o di contestarli, si deve ritenere che tale scopo sia raggiunto nel caso in cui il committente comunichi direttamente la denuncia al subappaltatore, com’è avvenuto nella fattispecie in esame”. Questo collegio opina diversamente.
3.4.4. La disciplina dell’art. 1670 c.c., ha come sua ratio quella di estendere ai subappaltatori la responsabilità ex art. 1669 (e, nell’ambito dei lavori preparatori, può richiamarsi che,. nella relazione del guardasigilli al cod. civ., si dà atto che era apparsa “ingiustificata” una norma del progetto del 1936 “che esonera(va) i subappaltatori dalla responsabilità di cui all’articolo precedente”; nella logica del perseguimento di tale identità di posizioni pur nei separati rapporti contrattuali, sul presupposto del pervenimento all’appaltatore di una “denunzia” di vizi era parso al ministro proponente “opportuno di subordinare l’azione di regresso contro il subappaltatore ad una comunicazione che l’appaltatore deve dare della denuncia del committente entro 60 giorni”).
3.4.5. In linea con tale parallelismo, mentre la dottrina assimila natura e funzioni della “denunzia” dell’art. 1669 c.c. (oltre che della diversa denuncia ex art. 1667 c.c.) e della “comunica(zione della)… denunzia” dell’art. 1670 c.c., talora indicando intercambiabilmente l’una e l’altra quali denuncia o comunicazione (qualche autore poi utilizzando tale ultima dizione quale indicativa di una vera e propria categoria all’interno degli atti giuridici non negoziali), si nota che entrambe costituiscono dichiarazioni a recezione necessaria (art. 1334 c.c., in combinato disposto con il successivo art. 1335 c.c., da cui si evince che la dichiarazione, oltre che pervenire a conoscenza anche presunta del destinatario, deve essere “diretta” a tale persona “determinata” per “produ(rre) effetto”), in funzione della loro attitudine a influire sulla sfera giuridica del destinatario, che si troverà esposto a pretese che, altrimènti, sarebbero state precluse da decadenza.
3.4.6. Recepita dunque pacificamente, anche dalla giurisprudenza, la natura recettizia della comunicazione (cfr. per la recettizietà della denuncia ex art. 1669 c.c., tra le altre, la ormai remota Cass. n. 1240 del 18/04/1972), che ne impone il pervenimento anche per presunzione al destinatario (e pur senza indicazioni esorbitanti dal fine – cfr. Cass. n. 11699 del 28/10/1992 in tema di costituzione in mora), si pone il problema – trattandosi di dichiarazione tesa al conseguimento di effetti giuridici già previsti dalla legge, la quale lascia al mittente la scelta di rendere o no la dichiarazione medesima – del valore della conoscenza aliunde del contenuto dichiarativo, avvenuta per caso fortuito (ad es. in mancanza di una qualsiasi trasmissione, come nell’ipotesi in cui si abbia notizia del contenuto di una dichiarazione scritta ma non inviata) o per fatto di un terzo diverso dal dichiarante, in assenza di rappresentanza o di incarico (ad es. nelle due ipotesi, che vanno giuridicamente parificate, del terzo che trasmetta una dichiarazione proveniente dal mittente che non lo abbia officiato, o del terzo non legittimato che emetta e trasmetta egli stesso una dichiarazione propria).
3.4.7. Non accettata dalla dottrina, la sufficienza della conoscenza aliunde da parte del destinatario del contenuto dichiarativo per la produzione dell’effetto giuridico – in quanto legata a visioni della recettizietà degli atti unilaterali parificata a un mero meccanismo a finalità informativa – è stata tradizionalmente negata dalla giurisprudenza di questa corte (cfr. ad es. per altre tipologie di atti Cass. n. 3032 del 06/05/1986, n. 3261 del 10/07/1989 e n. 2678 del 26/03/1997; e v., mutatis mutandis rispetto al tema trattato della recettizietà degli atti tributari, Cass. sez. U n. 19704 del 02/10/2015; v. ancora, quanto all’esigenza che il rappresentante sia munito di procura, nella denuncia dei vizi della cosa venduta e nell’appalto, Cass. n. 10854 del 30/10/1998 e n. 12130 del 14/05/2008). In realtà, ad avviso del collegio sulla scorta di un tradizionale autorevole indirizzo, va sottolineata anche per gli atti giuridici in senso stretto la necessità che il comportamento che li generi sia sorretto da coscienza e volontà del comportamento stesso (c.d. suitas), anche se non degli effetti; onde una ricezione di un contenuto dichiarativo da parte del destinatario in assenza di attribuibilità della dichiarazione al dichiarante legittimato non consente di ritenere non solo e non tanto il sussistere della “ricezione”, ma ben più pregnantemente il sussistere, necessariamente preliminare, di un atto qualificabile come dichiarazione a riceversi.
3.4.8. Nel caso di specie, ammettere al di fuori di ogni conferimento di poteri rappresentativi che un terzo – quale è e resta l’appaltatore principale – possa effettuare in luogo del subcommittente legittimato la comunicazione (o suo equipollente) al subappaltatore ex art. 1670 cod. civ. equivale a ridurre – come ritenuto dal predetto precedente giurisprudenziale – la comunicazione a mera acquisizione. di informazione, surrogabile quindi quanto alla fonte, laddove essa ha invece natura appunto comunicativa o partecipativa, non priva cioè di un coefficiente relazionale che impone, in base agli artt. 1669 e 1670 c.c., per quanto qui interessa, che non solo il destinatario ma anche la fonte della dichiarazione si identifichino con i soggetti sulle cui sfere giuridiche gli effetti legali (per quanto rileva, impeditivi della decadenza) sono destinati a prodursi, con suitas dell’attività comunicativa rispetto all’emittente.
3.4.9. Conferma del requisito anzidetto della fattispecie comunicativa si ha ove si consideri la disciplina generale della decadenza, dalla quale non si può prescindere stante l’espresso riferimento a tale istituto operato dall’art. 1670. In proposito è sufficiente constatare che l’art. 2966 c.c., disciplinante il c.d. riconoscimento impeditivo della decadenza, diverso da quello interruttivo della prescrizione ex art. 2944 c.c., mutua sostanzialmente da tale ultima norma la formula per cui il riconoscimento medesimo (sulla cui natura non è possibile soffermarsi, ma parificato per legge negli effetti al “compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto” soggetto a decadenza) deve essere, per i diritti disponibili, “proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto”; dato questo che, affrontato dalla giurisprudenza di merito e da pronunce arbitrali in relazione a riconoscimenti operanti ad es. dal direttore dei lavori negli appalti, fa propendere per la necessità della volontarietà del riconoscimento in capo al soggetto strettamente interessato o a suo rappresentante, ciò che dà rilievo – seppure sul fronte inverso del rapporto contrattuale – al profilo relazionale dianzi sottolineato (cfr., per il coefficiente necessario di volontarietà del comportamento di riconoscimento interruttivo ex art. 2944 c.c., ad es. Cass. n. 20692 del 22/09/2006 e n. 7760 del 30/03/2009, anche per richiami; e, in rapporto all’attribuzione operata da parte della dottrina al riconoscimento impeditivo della funzione probatoria della ricognizione di, debito ex art. 1988 c.c., v., mutatis mutandis anche in relazione alla diversa natura dell’atto, ad es. Cass. n. 13642 del 22/07/2004, n. 23803 del 08/11/2006, n. 16576 del 18/06/2008, n. 2104 del 14/02/2012 e n. 24710 del 04/12/2015 quanto all’inefficacia della ricognizione non specificamente rivolta al destinatario). In relazione a ciò, pare doversi desumere dall’art. 2966 c.c., che, se il riconoscimento deve – su un capo, quello passivo, della relazione giuridica interessata dalla decadenza – essere “proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto”, sul capo attivo del rapporto contrattuale anche il “compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”, soggetto a decadenza, debba provenire, quanto meno sulla base di mandato di disposizione di legge, dal soggetto che può “far valere il diritto”.
3.4.10. Nè può ritenersi che la specifica disciplina codicistica del subappalto renda possibile considerare l’appaltatore principale, direttamente o utendo iuribus, legittimato alla comunicazione diretta ex art. 1670 c.c., nei confronti del subappaltatore. La disciplina stessa, infatti, per la quale il subappaltatore assume, sia nei confronti dell’appaltatore suo committente sia nei confronti dei terzi, le stesse responsabilità dell’appaltatore verso il committente e verso i terzi, è ispirata al principio per cui tra committente e subappaltatore, nonostante l’autorizzazione ex art. 1656 c.c., non si costituisce alcun rapporto giuridico; in tal senso, si è sottolineato – anche in base a confronto con l’art. 1676 c.c., quale norma eccezionale – come l’art. 1670 venga à escludere l’esistenza di qualsiasi responsabilità diretta del subappaltatore nei confronti del committente. Ne deriva che, stante l’autonomia dei rapporti (per l’inesistenza di rapporto diretto tra committente e subappaltatore, ad altri fini, v. Cass. n. 16917 del 02/08/2011), nessuna legittimazione può spettare all’appaltante principale – al di là di negozi autorizzativi – a effettuare direttamente la comunicazione ex art. 1670 c.c..
3.4.11. Anche in relazione alla specifica disciplina del subappalto, poi, può coltivarsi – come innanzi operato – il parallelismo, ai fini impeditivi della decadenza, tra compimento dell’atto e previsto e riconoscimento ex art. 2966 c.c.. In argomento questa corte ha così ritenuto, ai fini della garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, che il riconoscimento del vizio provenienti non dall’appaltatore ma da un subappaltatore, che non abbia operato in rappresentanza o su indicazione dell’appaltatore, non esima il committente dalla denunzia del vizio nel termine di decadenza, stante la reciproca indipendenza del subappalto e dell’appalto, i quali restano distinti e autonomi, nonostante il nesso di derivazione dell’uno dall’altro, sicchè nessuna diretta relazione si instaura tra il committente e il subappaltatore; ne consegue che l’eventuale ammissione da parte del subappaltatore dell’esistenza di difformità o vizi dell’opera non può ritenersi equipollente al loro riconoscimento, il quale deve provenire dall’appaltatore ex art. 1667 c.c., per poter costituire ragione di esonero dalla denunzia che la stessa norma impone al committente ai rivolgere, ugualmente all’appaltatore, entro un certo termine, a pena di decadenza dalla garanzia (Cass. n. 22344 del 21/10/2009). Mutatis mutandis i principi enunciati sono confermativi di quanto sopra considerato.
3.4.12. Va infine tenuto conto che, come ricorda lo stesso precedente qui non condiviso n. 26686 del 18/12/2014, la giurisprudenza di questa corte (Cass. n. 23903 del 11/11/2009) non riconosce all’appaltatore interesse ad agire in regresso nei confronti del subappaltatore ex art. 1670 c.c., prima della formale denuncia (rectius – è da ritenersi – o della mancata accettazione) del committente principale, sull’argomento che il committente stesso potrebbe accettare l’opera nonostante i vizi palesi, non denunciare mai i vizi occulti oppure denunciarli tardivamente. La notazione è di rilievo, in quanto anche l’appaltatore che abbia ricevuto denuncia dal proprio committente stante la predetta specularità di situazioni – potrebbe farsi carico in proprio dell’eliminazione dei vizi, senza voler agire in regresso (eventualmente, ma non necessariamente, in relazione a intese tra le parti del contratto derivato). Rispetto a tale dato parrebbe dunque incoerente ammettere che, da un lato, le parti del contratto derivato restino sovrane circa la sorte sostanziale del loro rapporto, mentre il rapporto stesso, d’altro lato, resti soggetto a iniziative di un terzo (ad es. il committente principale) che, in tesi qui non accolta, meramente partecipando in via diretta al subappaltatore l’esistenza di difetti (semmai senza portare nel contempo la denuncia a conoscenza dell’appaltatore-subcommittente), si arbitrerebbe di intervenire sullo stesso rapporto derivato, impedendo un effetto decadenziale legale non privo di valore ai fini della certezza delle situazioni giuridiche.
3.4.13. Va quindi formulato il seguente principio di diritto: “L’appaltatore è tenuto a denunciare tempestivamente al subappaltatore i vizi o le difformità dell’opera a lui contestati dal committente e, prima della formale denuncia di quest’ultimo, non ha interesse ad agire in regresso nei confronti del subappaltatore, atteso che il committente potrebbe accettare l’opera nonostante i vizi palesi, non denunciare mai i vizi occulti oppure denunciarli tardivamente. La denuncia effettuata dal committente direttamente al subappaltatore non è idonea a raggiungere il medesimo scopo della comunicazione effettuata dall’appaltatore ai sensi dell’art. 1670 cod. civ., dovendo tale comunicazione provenire dall’appaltatore o da suo incaricato”.