Cass. Civ., Ord. 21/06/2024, n. 17253
I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla Pubblica Amministrazione a norma dell’art. 2052 cod. civ., poiché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.
Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 cit. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte, per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari, da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno.
Nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli e animali selvatici, ai fini dell’integrazione della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2052 cod. civ., è necessario provare che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno. Non è dunque sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto – anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ai sensi dell’art. 2054 cod. civ., comma 1- ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui -nonostante ogni cautela- non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che quel contegno possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.
“Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 2052 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.’.
Censura la gravata sentenza per aver deciso in aperto contrasto con il consolidato orientamento di legittimità e per avere quindi ritenuto applicabile, in caso di sinistro che coinvolga animali selvatici, la disciplina generale di cui all’art. 2043 cod. civ., con il conseguente onere a carico del danneggiato di dimostrare l’effettiva responsabilità della Regione, anziché la disposizione di cui all’art. 2052 cod. civ.
(…).
Il primo motivo è fondato.
Giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha di recente modificato il proprio orientamento in materia e ha stabilito che i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla p.a. a norma dell’art. 2052 cod. civ., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.
È stato quindi affermato che nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 cit. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte, per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari, da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno (così Cass., 30/10/2023, n. 30072; Cass. 08/02/2023, n. 3745; Cass., 20/04/2020, n. 7969, seguita da Cass., 22/06/2020, n. 12113).
Questa Corte ha anche chiarito che, nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli e animali selvatici, ai fini dell’integrazione della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2052 cod. civ., è necessario provare che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno.
Non è dunque sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto -anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ai sensi dell’art. 2054 cod. civ., comma 1- ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui -nonostante ogni cautela- non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che quel contegno possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno (v. Cass., 27/04/2023, n. 11107).
Ciò premesso -e ribadito, pertanto, che la responsabilità della Regione è da ricondurre all’art. 2052 cod. civ. e non all’art. 2043 cod. civ.- il Collegio osserva che la sentenza impugnata, là dove espressamente afferma che “entrambe le parti riconducono il titolo della responsabilità a quella di cui all’art. 2043 c.c., sul presupposto che la convenuta amministrazione non è proprietaria della strada ove è avvenuto il fatto”, non ha tenuto in considerazione i suindicati principi”.