Pagamento dei debiti ereditari e accettazione dell’eredità
Cass. Civ. Ord. 22-02-2018, n. 432
In tema di successioni ereditarie, il pagamento del debito del de cuius da parte del chiamato all’eredità – il quale utilizzi con denaro dell’eredità stessa – integra un’accettazione tacita. Tuttavia, nel caso in cui il chiamato provveda al pagamento del debito ereditario con denaro proprio, quest’ultimo non può ritenersi per ciò stesso che abbia accettato l’eredità.
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la corte d’appello considerato che la signora F., effettuando prelievi sul conto corrente cointestato con il de cuius fino a farne calare il saldo a debito, salvo successivo riporto a zero, sia pure al fine di estinguere le rate del finanziamento fondiario concesso ad entrambi i coniugi, aveva di fatto attinto anche dalla quota di spettanza di quest’ultimo.
1.1. Il motivo è inammissibile. Esso, sotto la veste di critiche per omesso esame, sostanzia in effetti un’istanza di riesame delle risultanze probatorie poste dalla corte territoriale alla base del convincimento che “essendo il conto cointestato l’appellata poteva legittimamente operare sullo stesso, senza che fosse possibile estrapolare da tale dato alcun atto attestante in maniera inconfutabile l’acquisizione della qualità di erede” (p. 4 della sentenza), attività questa di valutazione delle prove riservata al giudice del merito.
1.2. Al riguardo, va richiamato che il vizio di omesso esame, essendo stata la sentenza impugnata depositata successivamente all’11/9/2012, è declinato nel presente procedimento ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012. L’avvenuta limitazione al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici del controllo sulla motivazione non consente più mere critiche alla motivazione, in assenza di indicazione di effettivi “fatti storici” del tutto trascurati.
1.3. Nel caso di specie, il presunto fatto storico negletto sarebbe da individuarsi nell’attingimento, mediante prelievo, anche “della restante quota del 50% di proprietà” del de cuius del saldo del conto all’apertura della successione. Non è chi non veda, al riguardo, come, anzitutto, la questione delle “proprietà” delle somme in essere sul conto sia una valutazione giuridica, piuttosto che un fatto storico.
1.4. In secondo luogo, poi, va considerato che la corte d’appello (v. pp. 3 e 4 della sentenza) ha ampiamente ricostruito, anche mediante richiamo della sentenza di primo grado, i comportamenti e le operazioni sul conto, così mostrando che i fatti storici sottostanti alla predetta valutazione giuridica sono stati tutti avuti presenti. Anche nell’ipotesi – invero indimostrata – in cui sussistesse un qualche elemento istruttorio, peraltro non specificato nel ricorso, indicativo della “proprietà” del de cuius della quota del 50% del saldo del conto cointestato (valutazione questa che la parte ricorrente dà per scontata, ma che non lo è – cfr. in prosieguo), andrebbe comunque applicata la regola per cui l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nel caso di specie, i prelevamenti), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).
1.5. Solo per completezza, dunque, può richiamarsi che, da un lato, è vero che, in tema di successioni per causa di morte, un pagamento del debito del de cuius ad opera del chiamato all’eredità, a differenza di un mero adempimento dallo stesso eseguito con denaro proprio, configura un’accettazione tacita, non potendosi estinguere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede; a tal fine, è quindi necessario che sia fornita la prova che il pagamento sia stato effettuato con danaro prelevato dall’asse ereditario, mentre nel caso in cui il chiamato adempia al debito ereditario con denaro proprio, quest’ultimo non può ritenersi per ciò stesso che abbia accettato l’eredità (Cass. 27/01/2014, n. 1634; ciò in quanto la norma che legittima qualsiasi terzo all’adempimento del debito altrui – art. 1180 c.c. – esclude che si tratti di un atto che il chiamato “non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede” – art. 476 c.c. -). D’altro lato, però, è anche vero che nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo (cfr. Cass. n. 26991 del 02/12/2013 e n. 4066 del 19/02/2009). A fronte di tale dato, il mero probabile richiamo (implicito) della parte ricorrente alla spettanza al de cuius della metà del saldo in base alla presunzione dell’art. 1298 c.c., non è idoneo a far emergere che il prelievo totale abbia rappresentato un atto che il chiamato “non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede” (art. 476 c.c.), non risultando in alcun modo che si sia discusso in causa chi abbia effettuato i versamenti che hanno condotto al saldo, al netto dei prelevamenti, nell’ambito di un’azione di accertamento della qualità di erede in cui l’onere probatorio dell’accettazione è a carico di chi agisce in giudizio contro il chiamato (Cass. n. 10525 del 30/04/2010); per cui rettamente la corte d’appello ha ritenuto che i prelevamenti anche dell’intera giacenza non potessero ritenersi effettuati “se non nella qualità di erede”, potendo effettuarsi anche quale mero cointestatario, titolare di poteri disgiunti verso la banca del tutto avulsi rispetto al contesto dell’apertura della successione. In tal senso, questa corte ha affermato (ovviamente nel diverso contesto di applicabilità dell’art. 1854 c.c. – Cass. n. 5071 del 28/02/2017) che il contratto di conto corrente bancario svolge, a differenza di quello ordinario, una semplice funzione di servizio di cassa per il correntista, sicchè, in caso di cointestazione del conto, non rileva chi dei titolari sia beneficiario dell’accredito o chi abbia utilizzato la somma accreditata (rilevante nei rapporti interni tra i correntisti). Pertanto, quando una certa somma sia affluita sul conto, la stessa rientra nella disponibilità di tutti i correntisti, i quali, ex art. 1854 c.c., ne divengono condebitori, restando irrilevante che taluno dei cointestatari non abbia in concreto compiuto operazioni sul conto, atteso che è sufficiente, ai fini della norma suddetta, che avesse titolo per compierle.
1.6. Tanto esime da ogni considerazione della circostanza circa la scaturigine dei prelevamenti in conto (ordine permanente di addebito in conto preesistente e non revocato), che pure avrebbe rappresentato un importante elemento argomentativo, al fine di farne derivare l’ammissibilità, per pertinenza rispetto alla ratio decidendi, del primo mezzo di ricorso. Quanto sopra considerato per completezza, dunque, conferma l’inammissibilità del motivo, comunque non tale – anche se per ipotesi sussistesse un fatto storico di cui fosse stato omesso l’esame nei sensi di cui innanzi – da attingere l’impianto del decisum.