Cass. Civ. Sent. 06-07-2018, n. 17725
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta ulteriore di pagamento degli interessi convenzionali relativi al credito dedotto in sede monitoria formulata dall’opposto in comparsa di risposta non implica modifica della domanda originaria, così come non integra (a maggior ragione) gli estremi di una domanda riconvenzionale, costituendo una mera “emendatio libelli”, siccome comportante un mero ampliamento del “petitum” al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere.
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360, n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’accordo interprofessionale del 1984 stipulato fra l’Unione Petrolifera e le Associazioni dei gestori disciplinanti le procedure di giacenza; lamenta altresì, ex art. 360, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia e cioè l’avvenuta contestazione (contenuta nella comparsa di risposta del giudizio di opposizione) dell’entità numerica complessiva dei “cali di trasporto” decurtati dalla Tamoil Spa, assumendo che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che non fosse stato sollevato alcun rilievo.
2. Il motivo è inammissibile.
In realtà il ricorrente, pur invocando formalmente l’art. 360, nn. 3 e 5, sotto “due profili concorrenti ma anche autonomamente rilevanti”, denuncia l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione (pag. 6 del ricorso) criticando la sentenza impugnata attraverso la trascrizione di tutte le fasi istruttorie svolte anche nel giudizio di primo grado e limitandosi ad enunciare una interpretazione della disciplina contenuta nell’Accordo interprofessionale del 1984 diversa da quella articolata nella sentenza impugnata e priva di specifiche censure: al riguardo, si osserva che la Corte ha esaminato i sette motivi d’appello proposti partendo dalle argomentazioni, evidentemente condivise, del giudice di primo grado ed ha tenuto conto, nella propria decisione, delle stesse risultanze istruttorie riportate nel ricorso (cfr. richiamo alle deposizioni testimoniali dei testi M. e Mo.) dando una soluzione diversa da quella auspicata dal ricorrente.
In tale situazione, tenuto conto della congruità e logicità della motivazione, le censure risultano aspecifiche e chiedono una complessiva rivalutazione della causa nel merito, notoriamente preclusa in sede di legittimità (cfr. ex multis Cass. 3881/2006; Cass. 12052/2007; Cass. 3267/2008; Cass. 25332/2014 e Cass. 8758/2017; in ordine alla mancanza di specificità cfr. da ultimo Cass. 1479/2018).
3. Con il secondo motivo il G. lamenta, ex art. 360, n. 3, la violazione dell’art. 1282 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla mancata liquidazione degli interessi di mora; deduce altresì, sulla medesima questione, richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame della relativa domanda, tempestivamente avanzata, nonchè l’espresso riconoscimento della controparte attraverso un documento prodotto.
4. Il motivo è fondato.
La Corte territoriale, infatti, ha respinto la censura riguardante gli interessi calcolati al tasso di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, affermando che la domanda monitoria “era limitata a quelli al tasso legale”: in tal modo i giudici d’appello hanno omesso di considerare che nel giudizio di opposizione il G. aveva avanzato la relativa richiesta e che la Tamoil ne aveva riconosciuto la spettanza (v. al riguardo doc 37 fasc. primo grado).
Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta di ulteriore di pagamento degli interessi convenzionali relativi al credito dedotto in sede monitoria formulata dall’opposto in comparsa di risposta non implica modifica della domanda originaria, così come non integra (a maggior ragione) gli estremi di una domanda riconvenzionale, costituendo una mera “emendatio libelli”, siccome comportante un mero ampliamento del “petitum” al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere” (cfr. Cass. 75/2010; Cass. 16155/2010; Cass. 18767/2013; peraltro v. anche S.U. 12310/2015);
La sentenza deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte d’Appello di Milano per il riesame della specifica questione alla luce del principio di diritto sopra evidenziato e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.