Cass. Civ. Sent. 12-07-2018, n. 18338
L’articolo 1229 del codice civile prevede che “è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave. È nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico”.
La irrisorietà del risarcimento del danno pattuito preventivamente sotto forma di clausola penale viene a costituire elemento sintomatico dell’aggiramento del divieto di limitazione di responsabilità stabilito dall’art. 1229 c.c., comma 1, con la conseguenza per cui tale clausola debba ritenersi inficiata dal vizio di nullità per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1229 c.c., comma 1.
I motivi contestano la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto tardiva la eccezione di nullità della clausola penale – in quanto asseritamente nulla per violazione dell’art. 1229 c.c. – che era stata proposta nella comparsa conclusionale di primo grado e riproposta nella comparsa di costituzione in grado di appello, atteso che tale nullità era comunque rilevabile “ex officio”.
La prima parte della censura (secondo motivo) e la censura dedotta con il terzo motivo sono inammissibili in quanto si contesta un vizio di “error in procedendo” che non ha prodotto alcun pregiudizio al diritto di difesa della parte.
La Corte territoriale, pur essendo incorsa in errore, avendo ritenuto applicabili le preclusioni relative alla definizione del “thema decidendum” formatesi al termine della fase di trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., ed avendo rilevato la inammissibilità per tardività della eccezione di nullità della clausola (in quanto formulata soltanto in sede di memoria conclusionale illustrativa depositata ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c., e non proponibile in grado di appello, incontrando il divieto dell’art. 345 c.p.c., comma 2), non considerando, invece, che al Giudice è sempre consentito il rilievo “ex officio” di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 12996 del 23/06/2016; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 27516 del 30/12/2016), è venuta, infatti, poi ad esaminare nel merito la questione della invalidità della clausola penale ex art. 1382 c.c., prospettata in termini di elusione del divieto di limitazione preventiva di responsabilità “ex contractu” anche nei casi di dolo o colpa grave ex art. 1229 c.c., comma 1, pervenendo ad escludere il vizio di nullità, in quanto la tesi difensiva della M. “si appalesava priva di agganci letterali e/o normativi”, ed inoltre la pattuizione preventiva, volta a limitare il “quantum” risarcibile, si giustificava nell’interesse comune delle parti, da un lato sussistendo una obiettiva proporzionalità tra la misura del “quantum” e l’importo particolarmente modesto del corrispettivo del servizio, dall’altro evidenziandosi la comune esigenza delle parti contraenti di evitare preventivamente eventuali discussioni e contestazioni in caso di inadempimento attesa la difficoltà di “identificare gli effetti dell’eventuale furto”.
Fondato deve ritenersi invece il secondo motivo con il quale si impugna l’errore di diritto commesso dalla Corte d’appello nella mancata applicazione alla fattispecie concreta dell’art. 1229 c.c..
Questa Corte ha infatti precisato che la irrisorietà del risarcimento del danno pattuito preventivamente sotto forma di clausola penale viene a costituire elemento sintomatico dell’aggiramento del divieto di limitazione di responsabilità stabilito dall’art. 1229 c.c., comma 1, (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7061 del 28/07/1997, richiamata dalla ricorrente. Ma Vedi anche Corte Cass. Sez. 3 Sentenza 20.6.2014 n. 14084).
Nella specie la clausola contrattuale disponeva che “L’Istituto non presta alcuna garanzia nè si assume alcune responsabilità per eventuali furti, danni ed in genere pregiudizi subiti dall’Utente… Nel caso di comprovato inadempimento nell’esecuzione del servizio e di comprovata riferibilità dei danni a tale inadempimento, l’istituto sarà tenuto unicamente a versare all’Utente, a titolo di penale fissa, una somma pari ad una mensilità del canone in corso. E’ esclusa pertanto ogni risarcibilità di eventuale danno ulteriore subito dall’Utente”. Orbene dalla lettura della clausola emerge inequivocamente che, non soltanto viene delimitato quantitativamente l’ammontare del danno patrimoniale risarcibile, cagionato dal mancato od inesatto adempimento della prestazione di vigilanza, ma nella parte in cui la clausola prevede che “l’Istituto non assume… alcuna responsabilità per eventuali furti” (dovendo intendersi quindi estesa la esclusione, in difetto di alcuna diversa indicazione, anche alle ipotesi di responsabilità per dolo o colpa grave), evidenzia la volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsiasi responsabilità per i danni derivanti da furto con ciò venendo ad interrompere proprio il nesso funzionale – sul quale è fondato l’interesse dedotto in contratto del committente – tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione di furti ai danni del cliente.
Così formulata, nella combinazione di entrambi gli elementi indicati (quello sintomatico della limitazione del danno risarcibile ad importo del tutto irrisorio rispetto dal danno patrimoniale verificatosi; quello della estensione della limitazione dalla misura del “quantum” alla integrale responsabilità per inadempimento ex artt. 1218 e 1229 c.c.), la clausola in questione deve ritenersi inficiata dal vizio di nullità per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1229 c.c., comma 1.
In conseguenza il ricorso trova accoglimento quanto al secondo motivo (infondati gli altri motivi), la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in altra composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio, nonchè a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.