Locazione e indennità per occupazione senza titolo
Cass. Civ. Ord. 06/04/2021, n. 9256
L’art. 1591 c.c. prevede due distinti obblighi: nella prima ipotesi, per così dire di base, al ritardo nella restituzione della cosa la norma associa l’obbligo di corrispondere “il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna”, per cui è il legislatore stesso che prevede che in caso di ritardo nel recupero della disponibilità della cosa locata il locatore subisca un danno che è pari (quanto meno) all’ammontare del canone.
In questo caso, ricorrendo gli altri presupposti, il locatore non è tenuto a provare altro, in particolare la quantificazione del danno è predeterminata per legge. Solo se egli assume di aver subito un maggior danno, che può essere conseguente alla necessità di effettuare una rimessione in pristino, o alla perdita di occasioni di sfruttamento della cosa economicamente più vantaggiose, sarà soggetto al normale onere probatorio relativo alla sussistenza e all’ammontare del maggior danno.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 1591, 2041, 1223, 1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere riconosciuto a C.V. l’indennità di occupazione senza prova da parte sua di avere subito un’effettiva lesione del patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti utilmente utilizzare l’immobile. La Corte territoriale avrebbe semmai dovuto trovare un criterio di regolazione altrove ed in particolare nella disciplina dei rapporti di mero fatto.
Il motivo è infondato.
Il Giudice d’Appello non ha fatto che applicare la giurisprudenza di questa Corte relativa all’indennità dovuta per l’occupazione sine titulo di un immobile, ai sensi dell’art. 1591 c.c. – che trova, contrariamente a quanto ipotizzato dalla ricorrente, applicazione nel caso di specie, in ragione del riferimento al contratto di locazione emergente dalle allegazioni delle parti – il quale prevede due distinti obblighi, la cui disciplina è differente anche sotto il profilo del contenuto dell’onere probatorio: nella prima ipotesi, per così dire di base, al ritardo nella restituzione della cosa la norma associa l’obbligo di corrispondere “il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna”, per cui è il legislatore stesso che prevede che in caso di ritardo nel recupero della disponibilità della cosa locata il locatore subisca un danno che è pari (quanto meno) all’ammontare del canone. In questo caso, ricorrendo gli altri presupposti, il locatore non è tenuto a provare altro, in particolare la quantificazione del danno è predeterminata per legge. Solo se egli assume di aver subito un maggior danno, che può essere conseguente alla necessità di effettuare una rimessione in pristino, o alla perdita di occasioni di sfruttamento della cosa economicamente più vantaggiose, sarà soggetto al normale onere probatorio relativo alla sussistenza e all’ammontare del maggior danno. Risulta evidente che la ricorrente si riferisce a questa seconda ipotesi, pacificamente rimasta estranea alla vicenda in esame.