Cass. Civ. Ord. 15-05-2018, n. 11749
L’obbligo del medico relativo al consenso informato è correlato al diritto fondamentale del paziente all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario propostogli. Pertanto, la prestazione che ne forma oggetto è distinta da quella sanitaria, finalizzata alla tutela del diverso diritto alla salute.
Ne consegue che la violazione dell’obbligo informativo ha rilevanza autonoma ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria del sanitario, in quanto, mentre l’inesatta esecuzione del trattamento medico-terapeutico determina la lesione del diritto alla salute, tutelato dall’art. 32, co. 1, Cost., l’inadempimento dell’obbligo di acquisizione del consenso informato determina la lesione del diverso diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente, di cui all’art. 32, co. 2, Cost.
Va premesso che, secondo la definizione datane dal giudice delle leggi (Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 438), condivisa da questa Corte (Cass. 09/02/2010, n. 2847), il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e nell’art. 13 Cost. e art. 32 Cost., comma 2, i quali stabiliscono rispettivamente che “la libertà personale è inviolabile” e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
La necessità del consenso informato del paziente nell’ambito dei trattamenti medici, già prevista da numerose norme internazionali (art. 24 della Convenzione di New Tork sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; art. 5 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, ratificata con L. 28 marzo 2001, n. 14; art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000), nel nostro ordinamento è oggi contemplata dalla L. n. 219 del 2017, art. 1 (il quale tutela espressamente il diritto all’autodeterminazione della persona e regola le modalità di ricezione delle informazioni e di espressione e documentazione del consenso) ma già in precedenza si desumeva dai citati precetti costituzionali, nonchè da numerose norme di legge ordinaria, quali la L. 21 ottobre 2005, n. 219, art. 3 (in tema di disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati), la L. 19 febbraio 2004, n. 40, art. 6 (in materia di procreazione medicalmente assistita) e la L. n. 833 del 1978, art. 33, che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p..
L’obbligo del sanitario di acquisire il consenso informato del paziente costituisce, pertanto, legittimazione e fondamento del trattamento, atteso che, senza la preventiva acquisizione di tale consenso, l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (Cass. 16/10/2007, n.21748).
L’obbligo ha per oggetto l’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento prospettato ed in particolare la possibilità del verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione dello stesso (Cass. 13/04/2007, n. 8826; Cass. 30/07/2004, n. 14638), di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, onde porre quest’ultimo in condizione di consentire consapevolmente al trattamento medesimo (Cass. 14/03/2006, n. 5444). Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, nonchè in ordine alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili.
4.2.2. Poichè l’obbligo informativo del medico si correla al diritto fondamentale del paziente all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario propostogli, la prestazione che ne forma oggetto costituisce una prestazione distinta da quella sanitaria, la quale è finalizzata alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute. Di conseguenza, la violazione dell’obbligo assume autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria del sanitario, in quanto, mentre l’inesatta esecuzione del trattamento medico-terapeutico determina la lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost., comma 1), l’inadempimento dell’obbligo di acquisizione del consenso informato determina la lesione del (diverso) diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente (art. 32 Cost., comma 2) (Cass. 05/07/2017, n. 16503).
In altre parole, vengono in considerazione due diritti fondamentali diversi, entrambi costituzionalmente tutelati: la responsabilità per lesione del diritto alla salute consegue all’inesatta esecuzione della prestazione medico-terapeutica e può configurarsi anche in presenza di consenso consapevole; la responsabilità per lesione del diritto all’autodeterminazione consegue alla violazione del dovere di informazione e può configurarsi anche in assenza di danno alla salute, allorchè l’intervento terapeutico abbia un esito assolutamente positivo (Cass. 12/06/2015, n. 12505).
4.2.3. Può peraltro accadere che la lesione della salute sia causalmente collegabile alla violazione dell’obbligo informativo.
Ciò si verifica nell’ipotesi in cui l’intervento sanitario, non preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, sia stato correttamente eseguito in base alle regole dell’arte ma da esso siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute.
In tal caso la violazione del dovere di informazione non determina soltanto il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sè considerato, ma anche il danno alla salute, che non è causalmente riconducibile all’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria ma alla mancata corretta informazione, allorchè debba ragionevolmente ritenersi che, se questa fosse stata data, il paziente avrebbe deciso di non sottoporsi all’intervento e di non subirne le conseguenze invalidanti (Cass. 16/05/2013, n. 11950).
Quando si alleghi che la violazione dell’obbligo di acquisire il consenso informato abbia determinato (anche) un danno alla salute, è, peraltro, necessario dimostrare il nesso causale tra questo danno e quella violazione: il medico può essere quindi chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (Cass. 09/02/2010, n. 2847; Cass. 30/03/2011, n. 7237; Cass.27/11/2012, n. 20984; Cass. 16/02/2016, n. 2998; Cass. 13/10/2017, n. 24074).
4.2.4. Questa prova non è invece necessaria ai fini dell’autonoma risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sè considerato.
E’ stato, invero, ripetutamente evidenziato da questa Corte (Cass. 12/06/2015, n. 12505; Cass. 05/07/2017, n. 16503) che la struttura di tale illecito deve essere ricostruita sulla base della necessaria distinzione, di rilievo generale in tema di fatto illecito civile, contrattuale o extracontrattuale, tra l’individuazione dell’evento che lo integra (c.d. danno-evento) e quella delle sue conseguenze dannose (c.d. danno-conseguenza), che fanno sorgere il diritto alla riparazione.
Il danno-evento è rappresentato dalla stessa esecuzione, da parte del medico, dell’intervento sulla persona del paziente senza la previa acquisizione del consenso. Esso risulta, dunque, dalla tenuta di una condotta omissiva seguita da una condotta commissiva.
Il danno-conseguenza, (indicato dall’art. 1223 c.c. come “perdita subita” o come “mancato guadagno”), è, invece, rappresentato dall’effetto pregiudizievole che la mancanza dell’acquisizione del consenso e, quindi, il comportamento omissivo del medico, seguito dal comportamento positivo di esecuzione dell’intervento, ha determinato sulla sfera della persona del paziente, considerata nella sua rilevanza di condizione psico-fisica posseduta prima dell’intervento, la quale, se le informazioni fossero state date, l’avrebbe portata a decidere sul se assentire la pratica medica.
Più analiticamente, questa Corte ha osservato (cfr. le citate Cass. 12/06/2015, n. 12505 e Cass. 05/07/2017, n. 16503) che le conseguenze dannose della violazione dell’obbligo informativo sono rappresentate: a) dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dello svolgimento dell’intervento medico sulla sua persona, durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza; b) eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell’attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene ai fini terapeutici, parti del corpo o la funzionalità di esse: poichè tale diminuzione si sarebbe potuta verificare solo se assentita sulla base dell’informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno-conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona; c) eventualmente, dalle “perdite” relative ad aspetti della salute, con riferimento alla possibilità che, se il consenso fosse stato richiesto, il paziente avrebbe potuto determinarsi a rivolgersi ad altra struttura e ad altro medico, qualora si riveli che sarebbe stata possibile in relazione alla patologia l’esecuzione di altro intervento meno demolitorio o determinativo di minore sofferenza.
Tanto chiarito, questa Corte ha anche rilevato (cfr., in particolare, Cass. 05/07/2017, n. 16503) che delle sequenze causali che diano esito nelle conseguenze suddette, almeno la prima (sofferenza e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dello svolgimento dell’intervento medico sulla sua persona, durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza) corrisponde allo sviluppo di circostanze connotate da normalità, ovverosia da normale frequenza statistica, corrispondendo all’id quod plerumque accidit.
E’, infatti, evidente che la mancata informazione determina in capo al paziente la perdita della possibilità di esercitare consapevolmente una serie di scelte tra cui quella di non sottoporsi all’intervento (eventualmente anche nell’ipotesi in cui lo stesso fosse assolutamente necessario ed indifferibile in relazione alle sue condizioni di salute, atteso che la libertà di autodeterminazione va riconosciuta usque ad supremum exitum) o quella di non sottoporvisi immediatamente (in tutte le ipotesi in cui l’intervento non risulti indifferibile e consenta al paziente uno spatium deliberandi utilizzabile per riflettere o per assumere ulteriori informazioni sulla sua utilità od indispensabilità) o, ancora, quella di indirizzarsi altrove per la sua esecuzione.
Ed è altrettanto evidente che la perdita della possibilità di esercitare tutte queste opzioni non solo concreta una privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi circa la sua persona fisica (libertà che, costituendo un bene di per sè, quale aspetto della generica libertà personale, viene negata e, quindi, risulta sacrificata irrimediabilmente, sì che si configura come “perdita” di un bene personale) ma determina anche una sofferenza psichica, nella misura in cui, per un verso, preclude al paziente di beneficiare dell’apporto positivo che la loro fruizione avrebbe avuto sul grado di predisposizione psichica a subire l’intervento e le sue conseguenze (ove si consideri che, all’esito dell’assunzione di più dettagliate informazioni, eventualmente presso altra struttura ed altro medico, il paziente avrebbe potuto constatare che l’intervento prospettatogli si presentava come veramente utile od indispensabile, con ciò assumendo una miglior predisposizione ad accettarne le implicazioni), mentre, per altro verso, proietta ex post il paziente stesso nella situazione di turbamento psichico derivante dalla constatazione degli effetti negativi dell’intervento eseguito senza il suo consenso informato, allorchè egli si domanda se non fosse stato possibile scegliere altre soluzioni, compresa quella di non sottoporvisi (cfr. Cass. 12/06/2015, n. 12505).
4.2.5. Al rilievo che il danno-conseguenza rappresentato dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso corrisponde allo sviluppo di circostanze connotate da normalità e all’id quod plerumque accidit in seguito alla violazione dell’obbligo informativo, consegue che la risarcibilità di tali perdite non esige una specifica prova.
Questa Corte ha infatti statuito che è da ritenersi immediata, siccome riferita al foro interno della coscienza dell’individuo, la compromissione della genuinità dei processi decisionali fondati su dati alterati o incompleti per incompletezza delle informazioni (Cass. 05/07/2017, n. 16503).
Pertanto, mentre in relazione alle ulteriori conseguenze dannose che non rientrano nella sequenza causale normale resta necessaria una specifica dimostrazione, in relazione al danno-conseguenza costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso non occorre fornire alcuna prova specifica, ferme restando la possibilità di contestazione della controparte e quella del paziente di allegare e provare fatti a sè ancor più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori (Cass. 05/07/2017, n. 16503).