Inerzia del locatore nel sollecitare il pagamento del canone
Cass. Civ. Sent. 26-11-2019, n. 30730
L’inerzia del locatore nel sollecitare il pagamento del canone, a fronte di reiterati ritardi da parte del conduttore, non può essere interpretata alla stregua di un comportamento tollerante di accondiscendenza ad una modifica contrattuale relativamente al termine di adempimento. Infatti, un comportamento di significato così equivoco, quale quello di non aver preteso in precedenza l’osservanza dell’obbligo stesso, non può indurre il conduttore a ritenere di poter adempiere secondo la propria disponibilità.
Va innanzitutto ribadito che nel caso di specie il fatto che il legislatore non abbia predeterminato ex lege i caratteri dell’inadempimento solutoriamente rilevante impone di tener conto che la gravità dell’inadempimento sotto il profilo oggettivo – per la cui determinazione il giudice può ben avvalersi orientativamente dei parametri valevoli per sciogliere il contratto di locazione ad uso abitativo: la tipizzazione normativa contribuisce a dare concretezza ed oggettività alla valutazione del giudice che, altrimenti, in un ambito nel quale il suo potere discrezionale appare singolarmente ampio e la dialettica tra regole e principi si rivela particolarmente complessa rischierebbe di restare pericolosamente priva di coordinamento con le direttive del sistema – non è sufficiente, occorrendo parametrare la gravità dell’inadempimento all’interesse del contraente deluso, il fatto che quest’ultimo abbia agito per chiedere la risoluzione del contratto per l’altrui inadempimento o l’aver diffidato l’inadempiente; diversamente si otterrebbe il risultato di rimettere la risoluzione alla scelta dell’adempiente (per Cass. 13/02/1990, n. 1046, “l’interesse dell’altro contraente (…) non deve essere tanto inteso in senso subiettivo, in relazione alla stima che il creditore avrebbe potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune interesse negoziale”; nello stesso senso cfr. Cass. 08/08/2019, n. 21209): adempiente – si badi – che, ove volesse tutelarsi nei confronti dell’inadempimento di una particolare prestazione o di una particolare modalità di attuazione della prestazione, anche di carattere temporale, potrebbe prevedere una clausola risolutiva espressa o avvalersi del termine essenziale.
Occorre invece misurare, tenendo conto delle circostanze, della natura del contratto, della qualità dei contraenti, se la violazione del contratto realizzatasi confermi il carattere di gravità dell’inadempimento eventualmente risultato già tale secondo parametri oggettivi, tanto da poter ritenere che sia venuta meno la causa concreta delle attribuzioni patrimoniali, cioè la giustificazione del reciproco spostamento patrimoniale.
Il punto di rottura del rapporto che giustifica la cancellazione del vincolo è dato dall’incrocio tra il grave inadempimento e l’intollerabile prosecuzione del rapporto da parte dell’inadempiente.
La prima misurazione è affidata a parametri oggettivi, sulla scorta dei quali, secondo comune apprezzamento ed in relazione alle circostanze, deve accertarsi l’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia del rapporto e commisurarsi il risultato di tale primo accertamento all’interesse del creditore deluso, considerato non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo per la natura del contratto, per la qualità dei contraenti e per ogni altra circostanza rilevante: ad esempio, il piano dei rischi e dei benefici espressi nel contratto, gli adempimenti irrinunciabili ed essenziali, le rinunce e le attese tollerabili pur di conservare il contratto (con precipuo riferimento al ritardo, si ritiene che il giudice debba valutare il tempo trascorso, l’entità della somma da pagare in base all’importo già versato e ogni altra circostanza utile ai fini della considerazione dell’interesse dell’altra parte, quale, esemplificativamente, il tipo di impiego di quanto dedotto in prestazione, sì da giustificare l’esigenza, per il non inadempiente, di un adempimento rigorosamente tempestivo).
Passando all’applicazione di questi principi di riferimento al caso concreto, giova rilevare anche che:
– la intimazione in mora, cioè la richiesta con i caratteri di cui all’art. 1219 c.c., dell’adempimento non è affatto elemento costitutivo della domanda di risoluzione. Perciò l’insistenza della società conduttrice sul fatto che prima della intimazione di sfratto parte locatrice non avesse chiesto nè sollecitato l’adempimento non le giova affatto; e quanto all’effetto sorpresa provocato nella conduttrice dall’iniziativa processuale degli odierni resistenti, fondata sulla precedente loro inerzia rispetto ai pur reiterati ritardi, va ribadito l’orientamento di questa Corte – di cui la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione – secondo cui tale inerzia non può essere interpretata alla stregua di un comportamento tollerante di accondiscendenza ad una modifica contrattuale relativamente al termine di adempimento, non potendo un comportamento di significato così equivoco, quale quello di non aver preteso in precedenza l’osservanza dell’obbligo stesso, indurre il conduttore a ritenere di poter adempiere secondo la propria disponibilità (cfr. Cass. 18/03/2003, n. 3964, secondo cui tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto; nello stesso senso già Cass. 20/01/1994, n. 466; Cass. 15/12/1981, n. 6635);
– per quanto non azionata, la società locatrice riconosce che era stata pattuita una clausola espressa, con cui evidentemente era stato dato rilievo alla particolare importanza nell’economia dell’affare al pagamento puntuale dei canoni mensili.
La conduttrice, insomma, aveva tutta la possibilità di rappresentarsi la gravità del proprio inadempimento, sì che non poteva dirsi sorpresa della richiesta altrui, nè poteva legittimamente ritenere che il comportamento asseritamente tollerante, proprio perchè neutro, avesse ingenerato il ragionevole affidamento in merito alla rinunzia alla pretesa di un adempimento puntuale, sì da considerare con esso incompatibile, e quindi contraria a buona fede, la richiesta di risoluzione del contratto (cfr., di recente, Cass. 13/07/2018, n. 18535, riguardo all’eccezione di sospensione dell’assicurazione ex art. 1901 c.c.).
E’ vero che i locatori non si erano avvalsi della clausola risolutiva espressa; tuttavia, proprio la sua apposizione nel contratto assume rilievo nel caso di specie per dimostrare come il ripetuto ritardo della conduttrice, considerata invece l’importanza attribuita alla tempestività dell’adempimento implicata dalla clausola risolutiva, avesse prodotto un’incidenza sull’equilibrio sinallagmatico del rapporto tale da alterare, in maniera determinante, il regolamento di interessi oggetto della fattispecie negoziale e da escludere che l’inadempimento potesse essere qualificato di scarsa importanza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c.