Cass. Civ. Sent., 26/09/2019, n. 23987
In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta, va esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c., essendo inconfigurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati – sicché è da ritenersi non più dovuto il corrispettivo che, se corrisposto, determina un ingiustificato arricchimento da parte del (già) locatore – e neppure essendo configurabile la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni medesimi nel periodo tra la cessazione dei contratti e la loro effettiva riconsegna.
E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso, con limitato riferimento alla doglianza che al suo interno è per ultimo illustrata (v. supra nella presente sentenza, “Ragioni della decisione”, p. 2.3), di carattere peraltro totalmente assorbente rispetto alle altre.
Risulta accertato in sentenza, e sembra pacifico in causa, che il contratto di locazione intercorso tra le parti sia stato consensualmente risolto in conseguenza della inagibilità dell’immobile dichiarata per le conseguenze del sisma dell’aprile 2009.
In tale contesto si appalesa pertinente il richiamo, in ricorso, al principio affermato da Cass. 22/08/2007, n. 17844, qui pienamente condiviso, secondo cui “in caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta (nella specie a seguito dei danni causati da evento sismico e della conseguente emanazione di ordinanze sindacali di sgombero e di inagibilità relative agli immobili oggetto del contratto e destinati a scuola), va esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c., essendo inconfigurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati – sicchè è da ritenersi non più dovuto il corrispettivo che, se corrisposto, determina un ingiustificato arricchimento da parte del (già) locatore – e neppure essendo configurabile la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni medesimi nel periodo tra la cessazione dei contratti e la loro effettiva riconsegna.
Del tutto condivisibilmente si osserva in tale precedente – relativo ad un caso del tutto analogo a quello qui in esame – che, “attesa la situazione determinatasi in conseguenza del sinistro, di impossibilità di godere gli immobili locati e di utilizzarli per l’uso (scuola pubblica) cui gli stessi erano adibiti, tanto da essere conseguentemente oggetto di ordinanze sindacali di sgombero e di inagibilità”, viene in considerazione “la disciplina generale in tema di estinzione del rapporto contrattuale per sopravvenuta impossibilità della prestazione non imputabile alle parti ex art. 1463 ss. c.c. (cfr. Cass. 16/02/2006, n. 3440; Cass. 09/06/2003, n. 9199) quale rimedio all’alterazione del c.d. sinallagma funzionale che rende irrealizzabile la causa concreta (v. Cass. 25/05/2007, n. 12235), comportante l’automatica risoluzione ex lege del contratto, con liberazione del debitore dall’obbligazione divenuta impossibile che nello stesso trovava fonte”.
Ne discendono i seguenti corollari:
a) in base ai principi generali, all’esito della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, per le restituzioni si applicano le norme relative alla ripetizione dell’indebito (art. 1463 c.c.);
b) vertendosi in tema di obbligazione di consegna di cosa certa e determinata (nel caso, beni immobili), è allora il combinato disposto di cui agli artt. 2037 e 1182 c.c. a venire propriamente in rilievo;
c) ne consegue che, in base ai principi generali in tema di restituzioni (v., con riferimento all’art. 1458 c.c., Cass. 03/02/2006, n. 2439; Cass., 20/10/2005, n. 20257; Cass., 16/6/2004, n. 11340; Cass., 19/5/2003, n. 7829; Cass., 12/3/2001, n. 3608) nonchè secondo quanto da questa Corte – seppure con riferimento a diverse fattispecie – affermato specificamente in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 c.c., per far valere il diritto alla restituzione è necessaria apposita domanda da parte del creditore (v. Cass., 06/05/1980, n. 2973);
d) la ragione della domanda per la restituzione della cosa all’esito dell’estinzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 c.c. è – come per la costituzione in mora – da ravvisarsi nell’esigenza di vincere la presunzione di tolleranza dell’adempimento dilazionato (cfr. Cass., 10/4/1986, n. 2500; Cass., 28/12/1973, n. 3456; Cass., 2/9/1971, n. 2602. V. anche Cass., 23/7/1991, n. 8199; Cass., 3/4/1980, n. 2210. V. anche Cass., 27/1/2003, n. 1149), valendo esse a rendere il ritardo imputabile al debitore (conduttore);
e) non può invece trovare applicazione la specifica disciplina di cui all’art. 1591 c.c. (cfr. Cass. 17/12/1999, n. 14243); diversamente dall’ipotesi della scadenza o della cessazione anche anticipata del rapporto sottesa alla disciplina di cui all’art. 1591 c.c., per l’ipotesi in cui persiste il godimento dell’immobile pur essendo venuto meno il titolo in base al quale era stato conseguito (godimento che fonda la debenza della relativa remunerazione mediante indennità di ammontare ragguagliato al canone), nell’ipotesi di cui all’art. 1463 c.c. le prestazioni risultano invero impossibili in ragione del verificarsi di evento non imputabile al debitore.