Il mediatore deve comunicare la provenienza da donazione

Cass. Civ. Sent. 16-01-2019, n. 965

La provenienza dell’immobile da donazione costituisce circostanza relativa alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, rientrante nel novero delle circostanze influenti sulla conclusione di esso, che il mediatore deve riferire ex art. 1759 c.c. alle parti.

E’ osservazione ricorrente che il sistema italiano di tutela dei legittimari presenta caratteristiche tali da far sì che ne risulti gravemente ostacolata la circolazione dei beni di cui il proprietario abbia disposto per donazione.

Vengono in considerazione, da un lato, la retroattiva reale della riduzione che, seppure con alcune limitazioni, si esplica anche nei confronti dei terzi, siano essi acquirenti della proprietà o acquirenti di diritti reali di godimento o di garanzia (artt. 561 e 563 c.c.); dall’altro, la regola (inderogabile) che la lesione di legittima, e quindi la riducibilità della disposizione, si determinano con riguardo esclusivo al momento della morte del donante. Così l’acquisto del donatario e quello dei suoi aventi causa sono posti in condizione di instabilità per l’intero spazio di tempo che va dal momento della donazione a quello in cui il titolo di acquisto può essere impugnato dall’attore in riduzione.

L’instabilità si verifica anche se il donante, al momento dell’atto di disposizione, non abbia coniuge, discendenti o ascendenti (art. 536 c.c.), perchè i legittimari potrebbero sopravvenire in un secondo tempo. Si ricorda che ai fini della riducibilità non è consentita distinzione tra donazioni anteriori o posteriori al sorgere del rapporto da cui deriva la qualità di legittimario (Cass. n. 1373/2009): il figlio nato nel matrimonio legittimo ha diritto di calcolare la legittima anche sui beni donati prima della sua nascita, il figlio nato fuori dal matrimonio sui beni donati prima del riconoscimento, il figlio adottivo sui beni donati prima del provvedimento che pronunzia l’adozione, il coniuge sui beni donati prima del matrimonio.

E’ noto che, a seguito della modifica degli artt. 563 e 561 c.c. (L. n. 80 del 2005), il donatario, trascorso il termine ventennale di cui al nuovo testo di tali norme, può disporre del proprio diritto senza che i suoi aventi causa abbiano a temere di subire le conseguenze di un eventuale vittorioso esercizio dell’azione di riduzione da parte dei legittimari del donante (salvo quanto previsto dall’art. 563, nuovo comma 4). Risulta tuttavia dalla stessa sentenza impugnata che la donazione, costituente il titolo di provenienza dell’alienante, è stata stipulata il 10 gennaio 2002, meno di un anno prima della sottoscrizione della proposta il 30 settembre 2002 (il minimo intervallo decorso dalla donazione dispensa la Corte da qualsiasi considerazione sul problema, dibattuto in dottrina, circa la sorte delle donazioni stipulate anteriormente alla entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 80 del 2005).

Altra questione, anch’essa estranea all’oggetto immediato della lite, è se il promissario acquirente – cui l’altra parte non abbia fatto presente, al momento della sottoscrizione del preliminare, la provenienza dell’immobile da donazione – possa per il solo fatto di tale omissione opporsi alla stipulazione del contratto definitivo (cfr. in argomento Cass. n. 2792/1985, in fattispecie, però, in cui si discuteva della legittimità del rifiuto opposto dal promissario dopo la morte del donante).

Ai fini che rilevano in questa sede, è sufficiente arrestarsi al rilievo che la corte di merito non avrebbe potuto negare la rilevanza della provenienza da donazione in termini assoluti e di principio, in base alla semplice considerazione che la donataria era in quel momento la sola figlia dei donanti.

In verità l’affermazione della corte non è esatta neanche se riferita al tempo della donazione, perchè i genitori donatari erano coniugi fra loro e quindi reciprocamente legittimari, in concorso con la figlia, nella successione dell’altro (artt. 536 e 542 c.c.).

In considerazione degli inconvenienti cui dà normalmente luogo la provenienza da donazione (basti pensare che il sistema bancario non concede credito garantito da ipoteca, se l’immobile offerto in garanzia è stato acquistato a titolo gratuito) deve pertanto affermarsi il principio che la provenienza da donazione costituisce circostanza relativa alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, rientrante nel novero delle circostanze influenti sulla conclusione di esso, che il mediatore deve riferire ex art. 1759 c.c. alle parti (cfr. Cass. n. 16382/2009: “Il mediatore tanto nell’ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell’ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica, la quale costituisce in realtà un mandato), ha l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede, e di riferire alle parti le circostanze dell’affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della diligenza da lui esigibile. Tra queste ultime rientrano necessariamente, nel caso di mediazione immobiliare, le informazioni sulla eventuale contitolarità del diritto di proprietà in capo a più persone, sull’insolvenza di una delle parti, sull’esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, sull’esistenza di prelazioni od opzioni concernenti il bene oggetto della mediazione”.

“L’obbligo del mediatore di comunicare, ai sensi dell’art. 1759 c.c., comma 1, alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso, non è limitato alle circostanze conoscendo le quali le parti o taluna di essa non avrebbero dato il consenso a quel contratto, ma si estende anche alle circostanze che avrebbero indotto le parti a concludere quel contratto con diverse condizioni e clausole. Il dovere di imparzialità che incombe sul mediatore è, infatti, violato e da ciò deriva la sua responsabilità – tanto nel caso di omessa comunicazione di circostanze che avrebbero indotto la parte a non concludere l’affare, quanto nel caso in cui la conoscenza di determinate circostanze avrebbero indotto la parte a concludere l’affare a condizioni diverse” (Cass. n. 2277/1984).

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