Cass. Civ., Ord. 02/08/2023, n. 23501
Al momento dell’attribuzione del godimento dell’abitazione familiare, il giudice deve tenere conto soltanto dell’interesse del minore, sicché, considerata la primaria esigenza di quest’ultimo di conservare l’habitat domestico, l’assegnazione della casa familiare va, di regola, disposta in favore del genitore collocatario con prevalenza del minore stesso, a meno che non emergano ragioni per cui, proprio per tutelare il primario interesse del minore, è preferibile una diversa soluzione.
La decisione impugnata si pone, inoltre, in contrasto con il disposto dell’art. 337 sexies, comma 1, c.c., ove è stabilito che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.” Questa Corte ha già precisato che l’assegnazione della casa familiare tutela l’interesse prioritario dei figli minorenni e di quelli maggiorenni economicamente non autosufficienti a permanere nell’habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (Cass., Sez. 1, n. 25604 del 12/10/2018).
Le vicende separative della coppia genitoriale devono, infatti, incidere il meno possibile sulla vita dei figli che prima della fine della convivenza dei genitori vivevano insieme a questi ultimi, sicché, ove il loro trasferimento non sia dettato proprio dall’esigenza di tutelare il loro interesse o non sia il frutto di un accordo tra i genitori, che assicuri la salvaguardia di tale interesse, la prole deve mantenere il centro della sua vita nella casa in cui la famiglia ha vissuto quando era ancora unita.
In altre parole, quando non siano ipotizzabili le eccezioni appena menzionate, la casa familiare, ove il minore ha cominciato a vivere e a relazionarsi come persona, deve continuare ad essere il luogo in cui egli trova sicurezza e riparo, anche se i genitori non vivono più insieme, perché la casa è la proiezione nello spazio della sua identità all’interno di uno specifico contesto ambientale e sociale.
Il rispetto di tale prioritario interesse della prole è tanto più necessario quanto più i minori cominciano a crescere, intessendo relazioni con le persone e l’ambiente che li circonda dentro e fuori casa.
E’ pertanto evidente che, per soddisfare tali esigenze, la casa familiare deve, di regola, essere assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, sempre che non emerga una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il suo interesse. Solo in questo modo, infatti, è conseguito il risultato di far continuare a crescere quest’ultimo nello stesso habitat in cui ha vissuto quando la famiglia era ancora unita.
Questa Corte ha già precisato che deve essere estranea alla decisione sull’assegnazione della casa ogni valutazione che operi una ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli (v. ancora Cass., Sez. 1, n. 25604 del 12/10/2018).
Questa stessa Corte ha espressamente affermato che l’assegnazione della casa familiare postula l’affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, con la conseguenza che, in assenza di tale condizione, non può essere disposta a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l’eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita, quando i figli siano affidati all’altro coniuge, in quanto eventuali interessi di natura economica assumono rilievo nella misura in cui non sacrifichino il diritto dei figli a permanere nel loro habitat domestico (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23591 del 22/11/2010, con riferimento ad una fattispecie regolata dalla disciplina previgente alla l. n. 54 del 2006).
Anche nel caso in cui, a modifica di una precedente regolamentazione, sia disposto un affidamento paritetico della prole (che preveda, cioè, collocazione e frequentazione ugualmente ripartite tra genitori), non può costituire un effetto automatico la revoca dell’assegnazione della casa familiare. La valutazione che il giudice del merito deve svolgere non può limitarsi alla buona relazione del minore con entrambi i genitori, ma deve avere ad oggetto una giustificazione puntuale, eziologicamente riconducibile esclusivamente alla realizzazione di un maggiore benessere del minore da ricondursi al mutamento del regime giuridico dell’assegnazione della casa familiare. Deve, in particolare, essere evidenziato come questo rilevante mutamento nella esperienza quotidiana di vita del minore possa produrre un miglioramento concreto per lo stesso o sia finalizzato a scongiurare un pregiudizio per il suo sviluppo prodotto dal precedente regime di assegnazione. Anche in questo quadro, infatti, l’assegnazione della casa familiare ha l’esclusiva funzione di non modificare l’habitat domestico e il contesto relazionale e sociale all’interno del quale il minore ha vissuto prima dell’inasprirsi del conflitto familiare (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5738 del 24/02/2023).
Per queste stesse ragioni, e nella medesima ottica, la S.C. ha di recente affermato che l’assegnazione della casa familiare non può essere revocata per il solo fatto che il genitore collocatario abbia intrapreso, nella casa assegnata, una convivenza more uxorio, essendo la relativa statuizione subordinata esclusivamente ad una valutazione di rispondenza all’interesse del minore (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 33610 del 11/11/2021).
In sintesi, al momento dell’attribuzione del godimento dell’abitazione familiare, il giudice deve tenere conto soltanto dell’interesse del minore, sicché, considerata la primaria esigenza di quest’ultimo di conservare l’habitat domestico, l’assegnazione della casa familiare va, di regola, disposta in favore del genitore collocatario con prevalenza del minore stesso, a meno che non emergano ragioni per cui, proprio per tutelare il primario interesse del minore, è preferibile una diversa soluzione.