Concorrenza sleale parassitaria
Cass. Civ. Ord. 12-10-2018, n. 25607
La concorrenza sleale parassitaria consiste in un continua e sistematico operare – in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, e prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore – sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso limitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto assorbita dalla decisione di esclusione dell’appropriazione illecita di pregi la censura relativa alla sussistenza della concorrenza sleale nella forma dell’uso di mezzi non conformi alla correttezza professionale, posti in esse dalla Sacto s.r.l., benchè si tratti di una fattispecie di concorrenza sleale diversa da quelle previste dall’art. 2598 cod. civ., nn. 1 e 2. Nel caso concreto, ad avviso della istante, siffatta ipotesi di illecito si sarebbe concretata nella forma della concorrenza parassitaria, essendosi la Sacto appropriata in talune occasioni – al di là delle cessioni della stessa rivettatrice prodotta dalla Far s.r.l., come detto, operate nel tempo dalla stessa ricorrente – e senza alcun costo, della forma del bene posto in essere dalla FAR sul mercato, ed avente caratteri di originalità.
3.2. Nè tale ipotesi di illecito potrebbe essere esclusa contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito – per il fatto che gli episodi accertati “non integrano un disegno sistematico di parassitaria imitazione”, essendo state riscontrate – in tal senso – due sole condotte lato sensu parassitarie, paste in essere dalla Santo, relative alla scelta delle caratteristiche del listino prezzi e del catalogo di vendita, atteso che la condotta illecita parassitaria – a parere della istante – non dovrebbe essere dotata di specifici connotati temporali e qualitativi.
3.3. Le censure sono infondate.
3.3.1. Deve, invero, osservarsi – al riguardo – che la concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598 cod. civ., n. 3, consiste in un continua e sistematico operare – in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, e prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso limitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. Tale forma di concorrenza si riferisce, pertanto, a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 delle medesima disposizione, sicchè, ove si sia correttamente escluso nell’elemento dell’imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell’attività imitativa (requisito pertinente alla sola fattispecie di concorrenza sleale prevista dall’art. 2598 cod. civ., n. 1), debbono essere indicate le attività del concorrente “sistematicamente e durevolmente plagiate”, con l’adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale (Cass., 29/10/2015, n. 22118).
3.3.2. E’ di tutta evidenza, pertanto, che – nel caso di specie due isolati, e neppure particolarmente rilevanti episodi, alla stregua degli accertamenti in fatto operati dal giudice di appello, non possano in alcun modo integrare la fattispecie di concorrenza sleale parassitaria.