Assegnazione della casa coniugale: solo nell’interesse dei figli
Cass. Civ. Ord. 12-10-2018, n. 25604
L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole. Al contrario, questa è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli.
Come il previdente art. 155 c.c., comma 4 (e, per il divorzio, la L. n. 898 del 1970, art. 6), l’art. 155 quater (introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54) e l’art. 337 sexies c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, in vigore dal 7 febbraio 2014), nella parte in cui prevedeva (l’art. 155 quater) e prevede (l’attuale art. 337 sexies) che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, hanno una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l’interesse a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni sociali che in esso si radicano (Cass. 6979/2007, 16398/2007, 14553/2011, 21334/2013).
L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta, infatti, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole e, nel nuovo regime, introdotto già con la 1.54/2006, è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli, essendo scomparso il “criterio preferenziale” costituito dall’affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell’affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell’affido condiviso (C. Cost. 308/2008).
Questa Corte (Cass. 23591/2010) ha infatti ribadito che “la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione” e che “suddetta scelta, inoltre, neppure può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico”; l’assegnazione della casa familiare in conclusione è “uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità” (conf. Cass., da ultimo, l’art. 6 15367/2015).
6. Il secondo motivo, con il quale il D.P. malgrado quanto indicato nella “rubrica”, si duole, in effetti, del solo provvedimento di fissazione di un contributo, a suo carico, per il mantenimento del coniuge, di Euro 100,00 mensili, fissato dalla Corte d’appello senza valutazione comparata delle condizioni economiche dei coniugi, nulla essendo neppure allegato in ordine al venir meno delle condizioni per il mantenimento della figlia maggiorenne, è inammissibile.
Invero, la Corte d’appello ha affermato che l’accordo di separazione del giugno 2010, per ciò che atteneva all’assegno di mantenimento in favore della S. non era stato modificato dal Tribunale, senza che fossero sollevate specifiche censure da parte del reclamato-reclamante incidentale, ed il ricorrente neppure censura detta statuizione.