Cass. Civ. Ord. 18-09-2019, n. 23284
Nel caso in cui sia dedotta la violazione dell’obbligo coniugale di convivenza, la prova dell’avvenuto allontanamento dal domicilio coniugale, che deve essere fornita da parte del coniuge che lo denuncia, è sufficiente ad integrare la fattispecie ai sensi dell’art. 146 c.c., comma 1, a meno che il coniuge che si è allontanato non provi che ciò sia avvenuto per giusta causa.
Come già è stato affermato da questa Corte la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è istituzionalmente riservato al giudice di merito (Cass. n. 18074/2014; Cass. n. 4550/2011). In tema di onere della prova, questa Corte ha affermato che grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza degli obblighi nascenti dal matrimonio, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione (ex multis, Cass. n. 14591/2019, Cass. n. 3923/2018).
1.4. Tanto premesso, va tuttavia rimarcato che l’onere della prova si connota in maniera specifica ed autonoma in relazione alla dedotta violazione degli obblighi ed al nesso di causalità.
Quanto al primo profilo, alla stregua dei principi richiamati, va affermato che nel caso in cui sia dedotta la violazione dell’obbligo coniugale di convivenza, la prova dell’avvenuto allontanamento dal domicilio coniugale, a cura del coniuge che lo denuncia, è sufficiente ad integrare la fattispecie ai sensi dell’art. 146 c.c., comma 1, a meno che il coniuge che si è allontanato non provi che ciò sia avvenuto per giusta causa.
Pertanto, correttamente la Corte di appello, stante il carattere incontestato dell’allontanamento denunciato, ha ritenuto sussistere la violazione del dovere coniugale da parte del G., sulla considerazione che questi aveva sostenuto che alla data del suo allontanamento la crisi coniugale era già scoppiata e che l’allontanamento era una conseguenza dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, senza tuttavia fornire alcuna prova di ciò che aveva prospettato come “giusta causa”, ma affermandolo solo labialmente (fol. 4 della sentenza): tale statuizione non risulta nemmeno impugnata, tale non potendosi ritenere l’affermazione contenuta in ricorso, secondo la quale dagli atti sarebbe emerso che la crisi coniugale era da ascrivere a differenze caratteriali, attesa la assoluta genericità e mancanza di specificità della stessa (fol. 6 del ricorso).
Passando all’esame del profilo probatorio concernente il nesso di causalità, va confermato che, anche in caso di allontanamento e di richiesta di addebito, spetta al richiedente, e non all’altro coniuge, provare non solo l’allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (cfr. Cass. n. 14591/2019, Cass. n. 3923/2018, Cass. n. 3194/2017, Cass. n. 19328/2015), tuttavia nulla osta a che tale prova sia anche di tipo logico o presuntivo.
Proprio la decisione invocata dal ricorrente ha sottolineato la specificità di tale fattispecie, laddove chiarisce che “Diversa peraltro è la situazione, nella specie dedotta, dell’allontanamento del coniuge dalla casa coniugale, che, se non assistito da una giusta causa, costituisce violazione dell’obbligo di convivenza: viene meno in tal senso da parte del richiedente l’obbligo di provare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della convivenza; sarà l’altra parte a dover provare la giusta causa dell’allontanamento, che potrebbe consistere in un comportamento negativo del coniuge o magari in un accordo tra i due coniugi per dare vita, almeno temporaneamente, ad una separazione di fatto, in attesa di una successiva formalizzazione.”.” (così testualmente, Cass. n. 25966 del 15/12/2016): tale pronuncia appare intesa a valorizzare una prova di tipo logico e presuntivo da valutarsi sulla scorta del complesso compendio probatorio riveniente dall’attività istruttoria, e la decisione impugnata appare in linea con detti principi.
Nella specie la Corte d’appello innanzi tutto ha dato riscontro al fatto che il giudizio di separazione, proposto dalla C., era stato introdotto due anni dopo l’abbandono del tetto coniugale da parte del G., di guisa che non poteva ricorrere la fattispecie disciplinata dall’art. 146 c.c., comma 2; quindi ha accertato il verificarsi della violazione del dovere di coabitazione e l’assenza di una giusta causa, rimarcando che dal complessivo compendio probatorio non era emerso alcun elemento idoneo a comprovare l’esistenza di pregresse cause di crisi coniugale, argomento con cui si era difeso proprio G. adducendolo come “giusta causa”, e sulla scorta di questi plurimi elementi ha escluso che potesse essere riformata la pronuncia di addebito pronunciata in primo grado, con accertamento di merito che risulta insindacabile in sede di legittimità, ove non censurato sul piano motivazionale nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5