Cass. Civ. Sent., 24/05/2018, n. 12954
Il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalità dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata. Il perseguimento di tale obiettivo può perciò comportare anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti di libertà individuali dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo.
Come già affermato da questa Corte e come, del resto, riconosciuto dallo stesso ricorrente, il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalità dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata. Il perseguimento di tale obiettivo può perciò comportare anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti di libertà individuali dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo(cfr., in particolare, in fattispecie analoghe alla presente, Cass. nn. 24683/013, 9546/012).
Il decreto impugnato è stato assunto in adesione a tali principi, posto che la corte del merito – dopo aver precisato che la sintetica statuizione del primo giudice, che aveva inibito al C. “il coinvolgimento allo stato della figlia nelle propria scelta religiosa”, doveva essere intesa nel senso del mero divieto per il genitore di condurre la bambina alle manifestazioni della fede dei Testimoni di Geova – l’ha ritenuta, in tali termini, pienamente condivisibile, in quanto ha accertato, sulla scorta dell’espletata ctu, che il coinvolgimento nella pratica di tale religione è pregiudizievole per la minore.
5.2 I primo motivo del ricorso, pur lamentando la violazione da parte del giudice del reclamo dei principi fondamentali dettati dalla Costituzione e dalla CEDU in materia di libertà di religione, è in realtà unicamente rivolto a contestare il predetto accertamento – e dunque il giudizio di fatto sul quale si fonda la decisione- sul presupposto della mancanza di prova che la partecipazione di E. alle adunanze della Sala del Regno possa cagionarle un effettivo danno psicologico, non identificabile con manifestazioni di disagio della bambina.
Il motivo si risolve, pertanto, nella denuncia di un vizio di motivazione ed, esaminato sotto questo profilo, va dichiarato inammissibile.
Le doglianze illustrate nel mezzo sono infatti o meramente assertive (quelle sopra sintetizzate sub. d), e), g), f) ed h) o prive di attinenza alla decisione (quella sub b) od, ancora, (quelle sub a) e sub c) smentite dalla piana lettura del provvedimento impugnato (che non si fonda sulla considerazione del disagio manifestato da E., ma sull’affermazione che lo sviluppo emotivo della bambina risulta pregiudicato dalle modalità con cui viene sollecitata a seguire la religione paterna): in buona sostanza, il ricorrente si è limitato a sostenere che la corte del merito avrebbe errato nell’aderire alle conclusioni della ctu, ma ha omesso di indicare, secondo quanto richiesto dall’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale sia, e quando sia stato da lui dedotto e dimostrato, il fatto decisivo, non esaminato dal giudice, che, ove considerato, sarebbe valso a smentire le risultanze dell’indagine ed a determinare un diverso esito della controversia.